decolonization

 

31a Assemblea Generale dell’ICCROM 2019

 

decolonization

Sono molte le reminiscenze dell'epoca coloniale: dai nomi di strade e statue che rendono omaggio ai responsabili di massacri e genocidi, agli oggetti dei musei strappati ai loro proprietari originari, ai resti umani di persone non identificate, conservati come oggetti da collezione.

In realtà, nei nostri musei e istituzioni culturali manca veramente molto: storie, racconti e tradizioni di popoli e comunità indigene e la loro conoscenza delle collezioni e degli oggetti.

La colonizzazione è per molti versi più presente che in passato.

Nel passato, un numero crescente di istituzioni culturali, archivi, musei in Europa, Nord America, Australia, hanno cercato di affrontare la sfida della decolonizzazione delle loro istituzioni, consapevoli che le collezioni che presentano e ricercano possiedono spesso un background coloniale se non addirittura razzista.

Alla luce degli sviluppi e dell'impatto di questo movimento, il Consiglio dell'ICCROM ha deciso, nel corso della 31a Assemblea Generale del 2019, di dedicare la Discussione Tematica alla "Decolonizzazione del Patrimonio".

Inizialmente, la decolonizzazione identificava il percorso intrapreso dalle ex colonie per liberarsi della supremazia coloniale. Oggi il termine racchiude molto di più: è un appello filosofico, morale, sociale, spirituale e anche attivista, che indica che siamo ancora soggetti all'ideologia del colonialismo.

Decolonizzare significa interrogarsi sulle nostre istituzioni: come e perché viene attribuita priorità ad alcune forme di conoscenza e autorità rispetto ad altre? Come organizziamo e classifichiamo le conoscenze? Chi determina i criteri di selezione e di qualità delle collezioni? Chi decide cosa viene presentato e rappresentato? Come contribuire ad un rinnovamento delle regole con storie e contesti di riferimento che sono stati sistematicamente cancellati?

In breve: come cambia il focus, come cambia la nostra prospettiva?

La decolonizzazione implica conversazioni difficili e riflessioni sul significato delle istituzioni culturali e sulla loro destinazione. Si tratta di un dialogo aperto e reale con tutti i membri delle comunità e della società, si tratta di condividere potere ed autorità.

Decolonizzare significa trasformare le istituzioni culturali in comunità che apprendono. Questo vuol dire che è necessario creare spazio per molteplici prospettive che mostrino i diversi contesti che determinano il modo in cui consideriamo gli oggetti o i temi.

I quattro relatori invitati, il Dott Wayne Modest, il Prof. Shahid Vawda, Puawai Cairns e Sarah Pash, presenteranno le loro opinioni su queste sfide, e su come le comunità e gli altri attori possono lavorare insieme per affrontare ingiustizie storiche e disuguaglianze costanti, per poi promuovere lo sviluppo di pratiche del patrimonio decoloniale.

Dichiarazioni dei relatori

Dalla conservazione alla cura: ripensare alla conservazione all’epoca della decolonizzazione
Wayne Modest

Per molti operatori del mondo dei musei, le parole conservazione e cura formano una coppia logica. In effetti, questi termini sono spesso utilizzati insieme per descrivere pratiche museali (e dipartimenti) finalizzate alla conservazione delle collezioni. La cura, in questo senso, riguarda le misure e le condizioni stabilite per prevenire o limitare il deterioramento degli oggetti museali, al fine di conservarli per il futuro.

Considerando una prospettiva femminista e queer (attivista), questa presentazione si propone di analizzare la cura non come un binomio logico per la conservazione, ma come orizzonte orientato al futuro per immaginare il ruolo della conservazione in tempi di decolonizzazione. La mia presentazione coincide con le recenti richieste di decolonizzare i musei da parte di diversi movimenti a livello globale. Tali richieste, provenienti per lo più da attivisti esterni agli stessi musei, si sono concentrate principalmente su pratiche curatoriali o interpretative all'interno dei musei, o sull'impegno dei musei con diverse comunità di attori, in particolar modo nei programmi di apprendimento e di divulgazione. La critica si è sempre più concentrata sul modo in cui i musei affrontano il loro rapporto con il passato coloniale e, al contempo, sul modo in cui trattano gli oggetti delle collezioni acquisite durante il periodo coloniale. Direi tuttavia che, al contrario, poca attenzione è stata attribuita alla "decolonizzazione della conservazione".

Prenderò l'ICCROM e l'ICOM, entrambi parte di quella che potrebbe essere chiamata la struttura della governance globale del patrimonio, come punti di partenza per riflettere su ciò che potrebbe essere necessario per decolonizzare la conservazione e trasformarla in una pratica decoloniale di cura. La mia presentazione non sarà esclusivamente teorica. Analizzerò piuttosto alcune delle preoccupazioni pratiche che ho affrontato lavorando per oltre un decennio nel settore museale e del patrimonio nei Caraibi, soffermandomi su quali siano le sfide della governance (globale) del patrimonio, soprattutto se si pensa alle relazioni e alla resistenza coloniale del presente.

 

Seguire la decolonialità attraverso il patrimonio culturale: conoscenze, ingiustizie e pratiche
Shahid Vawda

Nel mio discorso all'Assemblea Generale dell'ICCROM vorrei analizzare come, nell'era post-coloniale, riconosciamo e risolviamo le ingiustizie nel e attraverso il patrimonio culturale. Sono particolarmente interessato alle ingiustizie che si fondano su conoscenze, o sulla mancanza di conoscenze, e alle pratiche attuali che hanno intrecci o collegamenti con gli antecedenti storici di un passato pre-coloniale e coloniale. Ritengo che il presente debba essere inteso come colonialità, piuttosto che come sviluppo lineare postcoloniale del colonialismo.

Per rispondere a questa domanda occorre esaminare due questioni. In primo luogo, come è emerso il presente su scala mondiale, riconoscendo i modi complessi, spesso "invisibili", in cui intendiamo la "razionalità occidentale" come cultura della modernità. E come questa modernità è stata, ed è, imposta, resistita, assimilata e accolta. Quali sono stati e sono gli strumenti concettuali o le conoscenze utilizzate per questo compito? Questo significa definire un quadro della situazione coloniale. Desidero quindi suggerire che occorre ripensare radicalmente il colonialismo e il modo in cui la sua impronta continua e viene sostenuta in tutto il mondo nel settore dei beni culturali. Questa impronta indelebile nel settore dei beni culturali è percepita nel mondo in via di sviluppo come un'ingiustizia epistemologica, piuttosto che come una semplice violenza fisica. Nasce da situazioni coloniali e postcoloniali in cui esperti, funzionari e leader spesso non tengono conto dei diversi interlocutori ignorando, mettendo a tacere, minimizzando od oscurando le loro conoscenze, voci e azioni. Ha inoltre echi altrettanto forti nel mondo sviluppato.

La seconda questione riguarda il modo in cui affrontare l'impronta coloniale, vale a dire la continuità e la discontinuità dei quadri di riferimento coloniali e le tracce precoloniali che identificano le persone, le nazioni e gli stati come progresso, o come la sua mancanza, verso la modernità. Nonostante i significativi progressi universali in termini di riconoscimento della diversità, delle differenze culturali, del patrimonio immateriale, delle autonomie nazionali e indigene e dei progressi nel tenore di vita, il patrimonio culturale come insieme di pratiche ha sortito risultati incoerenti e contraddittori. Richiede che le istituzioni culturali riflettano e pensino alle opere e ai siti, tra le disparità e disuguaglianze in termini di ricchezza, povertà e potere, e si chiedano, ad esempio, chi definisce il significato del nostro pensiero, delle nostre parole e di ciò che scriviamo e di come realizziamo piani per conservare, preservare, mostrare e inaugurare pratiche culturali. Ritengoche il contesto primario sia stato limitato al Rinascimento e all'Illuminismo europeo, che pretende incarnare gli ideali universali del mondo, e che per affrontare queste sfide del patrimonio culturale richiede un'ampia prospettiva decoloniale in grado di includere un'intera nuova era infinitamente più coerente con i diritti universali delle persone sanciti dalla carta costitutiva delle Nazioni Unite.

 

Decolonizzazione o indigenizzazione. Nutrire i musei attraverso l'indigenizzazione
Puawai Cairns

I musei risentono di una condizione cronica ereditaria chiamata colonizzazione che colpisce ogni parte del loro organismo e degli organismi con cui entrano in contatto. E chiedono sempre più spesso agli indigeni di curare i sintomi dolorosi dell'invecchiamento in un processo che i musei chiamano decolonizzazione. Ma cosa succede quando questa prescrizione è contraria a quella che gli indigeni possono considerare la misura correttiva più appropriata per loro e per il museo, un processo di trasformazione attraverso l'indigenizzazione?

Nella mia attività presso il museo nazionale neozelandese Te Papa Tongarewa, lavoro come sostenitrice della museologia in un contesto biculturale ispirato dal documento fondatore della Nuova Zelanda, il Trattato di Waitangi. Questa presentazione fornisce una panoramica di alcune delle risposte “māorificate” alla museologia che è possibile trovare in Te Papa. Se da un lato possono essere considerate esempi di pratiche decoloniali, dall'altro io le considero come un modo di lavorare indigenizzato. Vedo l'indigenizzazione come un processo di cura e nutrimento, che alimenta il terreno su cui è costruito il museo, in modo che le aspirazioni dei Māori abbiano un terreno fertile per crescere e per sostenere il futuro benessere biculturale del museo e delle comunità Māori che lo circondano. 

 

Un approccio Eeyou al patrimonio
Sarah Pash

Partendo dalla convinzione che il patrimonio indigeno è un diritto che deve essere esercitato autenticamente, la nazione Cree Nation di Eeyou Istchee ha sviluppato i propri mezzi per il mantenimento della cultura e della lingua al fine di garantire l’accessibilità del patrimonio Eeyou per le generazioni future. Buona parte dello sviluppo è stato dovuto al trattato che la nazione Cree di Eeyou Istchee ha negoziato con il Canada e la Provincia del Quebe. Si tratta dell’accordo James Bay e Quebec del nord, un accordo moderno, che, tra le altre iniziative fondamentali, prevede lo sviluppo delle istituzioni necessarie per esercitare l'autodeterminazione nella gestione del patrimonio, e le iniziative necessarie per il mantenimento della cultura e della lingua. Negli ultimi 40 anni, questa nazione indigena ha sviluppato un proprio consiglio scolastico con il potere di determinare la programmazione relativa alla cultura Cree e al mantenimento della lingua, alla lingua di insegnamento, alla storia e al curriculum di cittadinanza. Inoltre, la nazione Cree di Eeyou Istchee ha creato l'Aanischaaukamikw, l’Istituto culturale, un'organizzazione regionale al servizio delle comunità e delle persone dell'Eeyou Istchee. Tale istituto ha il compito di garantire che la cultura Cree venga praticata e celebrata, che il patrimonio materiale e immateriale venga mantenuto e che la lingua resti viva per le generazioni future. Altre associazioni regionali legate alla pratica e al mantenimento della cultura e delle tradizioni sostengono la capacità di portare avanti lo stile di vita tradizionale di caccia e cattura che vive in relazione e rispetto della terra, la capacità di perpetuare la pratica delle arti e dei mestieri tradizionali, e la possibilità di assicurare l'occupazione e l'uso del territorio. Noi siamo gente della terra, gli Eeyou dell'Istchee Eeyou. Il nostro rapporto con la terra definisce chi siamo, la nostra identità come Eeyouch definisce il modo in cui ci avviciniamo alla gestione del patrimonio. La dott.ssa Sarah Pash esaminerà il modo in cui la nazione Cree di Eeyou Istchee ha approcciato la gestione del patrimonio da un punto di vista forte e di auto-determinazione ed esplorerà i concetti di riconciliazione e decolonizzazione delle pratiche di gestione del patrimonio da questa prospettiva.

 

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I relatori

Wayne Modest

Prof. Wayne Modest
Centro di ricerca per la cultura materiale, Vrije Universiteit, Amsterdam, Paesi Bassi

Wayne Modest è a capo del Centro di ricerca per la cultura materiale, dell'istituto di ricerca del Tropenmuseum, del Museo Volkenkunde, del Museo dell'Africa e del Wereldmuseum nei Paesi Bassi. È inoltre professore di cultura materiale e studi critici sul patrimonio presso il dipartimento di scienze umane della Vrije Universiteit, Amsterdam. In precedenza è stato a capo del dipartimento curatoriale del Tropenmuseum, custode dell'antropologia del Museo Horniman di Londra, e direttore dei musei di storia ed etnografia dell'Institute of Jamaica, Kingston Giamaica. Il prof. Modest ha iniziato il suo lavoro museale nel campo della conservazione.

 

Shahid Vawda

Prof. Shahid Vawda
Cattedra Archie Mafeje in scienze umane critiche e decoloniali, Università di Città del Capo, Sudafrica.

Shahid Vawda si è laureato presso le università di Durban-Westville (BA), Queens (Belfast)(MA) e KwaZulu-Natal (PhD). Prima di assumere posizioni accademiche in Sudafrica ha lavorato nel movimento sindacale e presso l'ONG educativa SACHED Trust negli anni '80, poi come consulente ricercatore per i governi locali, provinciali e nazionali dopo il 1994 (riforma fondiaria, alloggi, insediamenti informali, ristrutturazioni forestali e patrimonio). Il suo insegnamento accademico e la sua ricerca sono stati impiegati in varie università in Sudafrica, in alcuni paesi africani e all'estero, e ha altresì preso parte ad alcuni workshop di ricerca dell'UNESCO e del Consiglio internazionale dei musei (ICOM) relativi alla cultura, al patrimonio e alla diversità. Ha ricoperto incarichi come responsabile dei Dipartimenti di Antropologia presso le Università di Durban-Westville e Witwatersrand, ed è stato responsabile della Scuola di Scienze Sociali dell'Università di Witwatersrand dal 2012-2017. È stato attivo nei consigli di amministrazione dell'International Council of Museums committee for history and archaeology (ICMAH), e del comitato locale ICOM del Sud Africa, del Public Affairs Research Institute, del Centre for Critical Diversity Studies, dell'African Centre for Migration and Society e del Wits Institute for Social and Economic Research. Ha pubblicato diversi articoli su riviste e libri e gli sono stati attribuiti numerosi rapporti di ricerca. Attualmente è titolare della cattedra Archie Mafeje in Umanità decoloniali critiche e della direzione della Scuola di studi africani di genere, Antropologia e linguistica dell'Università di Città del Capo.

 

Puawai Cairns

Puawai Cairns
Kaihāpai Mātauranga Māori | Responsabile del Museo Mātauranga Māori, Te Papa Tongarewa, Auckland, Nuova Zelanda

Puawai Cairns gestisce l’equipe curiatoriale Māori e sostiene il Mātauranga Māori negli spazi museali. È specializzata in ricerca di storia sociale contemporanea e collezionismo per riflettere la storia delle comunità Māori  Puaway esaminando il concetto di mana motuhake nella museologia e nella realizzazione di mostre, ed è particolarmente interessata a indigenizzare la pratica museale.

Affiliazione Iwi Ngāti Pūkenga, Ngāti Ranginui, Ngāi Te Rangi

 

Sarah Pash

Dott. Sarah Pash
Direttore Esecutivo, Aanischaaukamikw Cree Cultural Institute, Canada

La dott.ssa Sarah Pash, membro della nazione Cree di Chisasibi nel Quebec settentrionale, è attualmente il Presidente del Consiglio scolastico Cree, un’autorità gestita in modo autoctono. Nel corso della sua carriera, ha lavorato nel campo dell’educazione, della cultura e del patrimonio. Di recente è stata Direttrice esecutiva dell’Aanischaaukamikw, l’Istituto regionale culturale Cree per Eeyou Istchee. Ha cominciato a lavorare per l’Istituto culturale Cree al momento della sua apertura nel 2011, in qualità di Direttrice dei Programmi, assistendo nello sviluppo organizzativo dell’Istituto con la propria esperienza nello sviluppo e realizzazione di programmi, ricerca indigena e pianificazione e gestione del settore pubblico. Sarah ha un background educativo, culturale e di mantenimento della lingua nelle First Nations come insegnante, docente universitario, consulente educativo, coordinatore della ricerca e autore. Il suo servizio per la comunità include termini quali consigliere nel sistema di goverance di comunità e membro del consiglio presso diverse organizzazioni comunitarie First Nations. Fa parte del Consiglio di Amministrazione dell’Associazione dei musei canadesi, del Consiglio per le questioni relative al patrimonio indigeno per l’Associazione dei musei canadesi, e membro del consiglio di amministrazione del Circolo del patrimonio autoctono, una piattaforma nazionale canadese che riunisce esperienza e comunità nel paese. Sarah ha conseguito un B.A. (Hons.), un B.Ed. e M.Ed., un dottorato di ricerca in educazione e un certificato di master in gestione di organizzazioni pubbliche.